Toronto. Marzio Pelù, giornalista e musicista ma, soprattutto, “un bravo ragazzo”
Toscano di Massa Carrara, dove è nato 52 anni fa, divorziato con “tre splendide figlie”, Marzio Pelù , a Toronto è personaggio conosciutissimo nella comunità italiana soprattutto per il suo lavoro di redattore del popolarissimo “Corriere Canadese” e musicista “on the roads”.
E quando gli chiediamo chi è Marzio Pelù , per sapere da lui come si definirebbe, ci risponde prontamente: “Un bravo ragazzo. ‘A good guy’, come dicono qui. Nulla di più”.
In questa nostra intervista, si racconta e ci racconta della sua esperienza nel Paese nordamericano.
Da quanto e perché sei in Canada? I motivi della tua scelta di Toronto.
“Mi sono trasferito in Canada nell’aprile del 2021, anche se già lo frequentavo dal 2018 trascorrendo a Toronto brevi periodi durante l’estate ed è stato proprio in quei giorni estivi ‘canadesi’ che ho capito che avrei potuto vivere solo in due città: la mia e Toronto. Perché? Perché la GTA è estremamente multietnica e quindi multiculturale. Un mondo nel mondo. La realizzazione quasi perfetta di quel ‘imagine there’s no countries’ di John Lennon che rappresenta, per me, un inno. Se tutto il mondo fosse così, sarebbe bellissimo. Ma non lo è. Quindi io sto a Toronto”.
Racconta i tuoi inizi da giornalista e i successivi sviluppi.
“Ho iniziato scrivendo di musica, la mia grande passione: la mia carriera giornalistica non poteva che iniziare da lì. Poi, imparando dai colleghi più anziani dei quotidiani della mia città, Il Tirreno dove ho mosso i miei primi passi nel giornalismo e soprattutto La Nazione dove sono cresciuto e dove ho trascorso 25 anni della mia vita, ho intrapreso una bella carriera. Dico ‘bella’ oggi, con il senno di poi, perché non è stato un percorso facile: tredici anni di gavetta vera, 7 giorni su 7 in redazione, disponibile H24, prima di essere finalmente assunto. Ma è una storia come tante, in Italia. La mia abnegazione, alla fine, mi ha premiato e sono riuscito a diventare il caposervizio dell’edizione della mia città de ‘La Nazione’. Più in alto di così non sarei potuto né avrei voluto arrivare. Quindi, nel 2021 ho chiuso quel capitolo per aprirne un altro nel Paese che avevo ‘adocchiato’ da qualche anno: il Canada”.
Parlaci della tua esperienza al Corriere Canadese e del suo pubblico.
“Un’esperienza unica, perché il Corriere Canadese è un giornale comunitario: esce in lingua italiana, per i connazionali – decine di migliaia – che vivono qui ed è l’unico quotidiano cartaceo nella nostra lingua in tutto il Nordamerica. I nostri lettori, dagli anziani emigrati qui decenni fa ai newcomers, sono affezionati alla lingua madre e per loro c’è un solo modo di informarsi quotidianamente su quanto avviene in Canada, in Italia e nel mondo: leggere il Corriere Canadese. La nostra, dunque, è una duplice missione: informare la comunità italiana e tenere in vita la lingua del Belpaese in Nordamerica. La lingua scritta. Non è cosa da poco”.
Com’è la comunità italiana a Toronto? E quanto è importante il Made in Italy in Canada?
“La comunità italiana, come dicevo, è vastissima ed è attivissima in tutti i settori, nessuno escluso. Qui gli italiani hanno successo in ogni campo, dall’imprenditoria all’associazionismo, fino alla politica: abbiamo avuto e tuttora abbiamo sindaci, parlamentari e ministri italo-canadesi. L’italianità è un valore aggiunto: chi è nato e cresciuto nella nostra Penisola è smart, socievole, creativo e volitivo: non si pone limiti e, solitamente, riesce ad affermarsi ed emergere in un qualsiasi Paese straniero. Non a caso il Made in Italy è un ‘must’ in tutte le sue forme. Per fare un esempio che basti per tutti gli altri, in ogni supermercato di Toronto i prodotti italiani sono di fatto l’80%, o forse più, di tutti quelli esposti perché tutto quello che arriva dall’Italia è considerato più buono e più sano. E non c’è solo il settore alimentare: qui tutto ciò che è Made in Italy è considerato il top, in ogni campo”.
Passiamo alla tua passione per le sette note. Quando ti sei scoperto musicista?
“Mi sono scoperto musicista all’età di 5 anni a casa dei miei nonni: quando andavo da loro, ‘stendevo’ pentole e coperchi nel pavimento della loro cucina e suonavo questa specie di batteria fai-da-te con mestoli e cucchiai. A casa mia non potevo farlo, le mie sorelle e mio fratello, tutti più grandi di me, mi avrebbero… ucciso! Dai miei nonni, invece, potevo fare qualunque cosa. E furono proprio loro a spingermi a studiare musica, acquistando un violoncello per farmi prendere lezioni. I genitori di mia nonna erano entrambi musicisti: violoncellista il padre, pianista la madre. Mio fratello e le mie sorelle stavano già studiando piano quindi a me toccò il violoncello. Ma ero, forse, troppo piccolo per quello strumento più alto di me e così smisi presto, per poi pentirmene amaramente qualche anno dopo, durante l’adolescenza. Ormai era troppo tardi per riprendere a studiare seriamente uno strumento così complesso, così imbracciai la chitarra. Ma il timbro del violoncello mi è rimasto nel cuore: è tuttora il mio strumento musicale preferito in assoluto”.
Dove suoni abitualmente?
“Abitualmente suono downtown, giù in città a Toronto: ci sono moltissimi locali aperti ai musicisti, sia con la formula dell’open mic (vai, ti metti in lista e suoni due o tre pezzi alternandoti con altri musicisti) che con la formula del personal gig (hai uno spazio tutto tuo di un paio d’ore). Essendo un ‘italian’, poi, ho anche la possibilità di propormi in ristoranti italiani dove la gente va non solo per gustare la cucina del Belpaese ma anche per ascoltare la nostra musica. Inoltre, faccio ‘busking’: suono nelle strade e nelle piazze, appena posso. Ed è la mia dimensione ideale”.
Qual è il tuo repertorio?
“Ho alcuni brani miei e tante covers che però non eseguo ‘pedissequamente’: cerco sempre di portare la canzone all’osso, cercando d’immaginare com’era quando è stata scritta, riportandola alla sua essenza… e riparto da lì, creando un arrangiamento mio ma tentando di mantenere le stesse vibrazioni emotive: a volte basta una nota, quella giusta nel punto giusto. I brani che reinterpreto sono prevalentemente quelli del repertorio pop-rock inglese degli anni ’60-70-80 (Beatles, Pink Floyd, U2, Depeche Mode, Duran Duran, etc.) e, naturalmente, quelli dei grandi cantautori italiani: Battisti, De Gregori, Modugno, Paoli, Tenco…”.
A che tipo di pubblico ti rivolgi?
“A tutti. La musica è l’unico linguaggio universale, la capiscono tutti al di là della lingua in cui canti perché il suono degli strumenti non ha bisogno di essere ‘tradotto’: è no limits”.
Hai inciso dischi?
“No. Non nego che mi sarebbe piaciuto, sarei un ipocrita. Ma alla fine sono arrivato alla conclusione che è meglio così. Per come intendo l’arte io, se avessi ottenuto un contratto discografico mi sarei sentito come un leone in gabbia. La mia musica è un eterno work in progress e devo essere libero di farla come, quando e dove voglio. Fortunatamente c’è internet, quindi possono pubblicare i miei lavori in modo totalmente indipendente e nessuno può dirmi cosa fare, come farlo e con chi. Faccio come mi pare”.
Consiglieresti a un connazionale di trasferirsi in Canada? Se sì, dove?
“Sì, lo consiglierei vivamente. Quanto alla destinazione, io posso consigliare soltanto Toronto, perché per ora non ho visto altre città canadesi. Ma credo che sia una buona scelta…”.
Marzio Pelù
Marzio Pelú
Radio Italia Oltre Confine
Radio Italia Oltre Confine
La voce della diaspora italiana nel mondo, diretta con passione da Ennio Marchetti.
Scrivi un commento